“CHIACCHIERANDO CON L’AUTORE”: BIAGIO PROIETTI
26 Marzo 2013IL REALISMO NEL GIALLO ITALIANO
1 Maggio 2013Tra gli amici più assidui del Giallo Club di Pistoia vi è sicuramente Loriano Macchiavelli, è stato ospite qualche giorno fa alla nostra trasmissione televisiva “Amici del
Giallo-TVL” e ne abbiamo approfittato per una lunga chiacchierata.
Una volta hai dichiarato ” Ho capito che potevo entrare in contatto con i ragazzi della mia classi attraverso la scdrittura….”. Vista la tua longevità di scrittore di
successo questo vale anche per i nostri giorni ?
Direi di si. Anzi mi pare che la tendenza sia quella di scriversi, più che di parlarsi. Alludo ai messaggi telefonici e a tutte le diavolerie delle quali ho perduto il conto e i nomi.
Hai pubblicato una quarantina di romanzi, ispirato fiction televisive, hai scritto per il teatro, per la radio, per la televisione. Ti resta comunque la definizione di
” fondatore del noir italiano “, secondo me è un bel complimento. Ma te come ti definiresti ?
Intanto non son o e non mi sento un fondatore. Al più posso sostenere, e sfido a provare il contrario, uno degli innovatori del romanzo di genere italiano. Nel senso che
ho lottato con i denti e con le unghie per far comprendere soprattutto agli editori, ma poi anche ai critici, che in Italia c’erano scrittori in grado di raccontare i nostri
misteri come e meglio degli stranieri. E mi riferisco agli anni settanta e ottanta del secolo appena passato, quando il giallo era considerato scrittura di serie B. I risultati
sono davanti a chi ha occhi e li usa per leggere.
Ti hanno definito un “romanziere di città”, il riferimento alla tua Bologna è esplicito. Quale è il tuo rapporto con la città ?
Ho amato e forse amo ancora Bologna. Posso sostenere di averla conosciuta e compresa. In passato. Oggi non la conosco più e non la capisco.Ma temo che sia colpa mia.
Forse per questo sono diventato anche uno scrittore di montagna. In coppia con il mitico Francesco.
Rimanendo su Bologna, la “scuola” di Bologna ” è stata per lungo tempo un mito tra gli scrittori italiani di gialli, una sorta di simbolo contro l’individualismo esasperato
della categoria. Oggi cosa ne è rimasto ?
Anche qui possiamo sostenere che “io li conoscevo bene “. I miei colleghi di strada e di avventura, voglio dire. Oggi sono tanti e non li conosco più. Come per Bologna,
forse la colpa è mia.
Hai usato uno pseudonimo per affrontare la sfida dei poteri sommersi, dei crimini mafiosi, delle trame oscure, delle stragi di stato. Nel 198o uscì in libreria “Strage”
firmato Jules Quicher, e non con il tuo nome. Perché ? Per la cronaca aggiungiamo che dopo una settimana il libro fu sequestrato e tolto dalla vendita.
Più che una sfida, era un metodo nuovo per raccontare la storia dei misteri italiani attraverso il romanzo. Nel 1989l, sempre come Jules Quicher, pubblicai Funerale
dopo Ustica, e nel 199o, a dieci anni dalla strage alla stazione di Bologna, Strage. Lo pseudonimo non era per nascondermi dietro l’anonimato, ma faceva parte di un
piano editoriale studiato assieme all’editore. ” Non credono negli autori italiani ? Pubblichiamo con pseudonimo e poi, se venderemo, dichiareremo l’autore”.
Funerale dopo Ustica fu un successo. Strage non fece in tempo ad esserlo per il sequestro, appunto.
A distanza di anni è tornato in libreria con il tuo nome, cosa era cambiato nel frattempo ?
Non lo avrei più ristampato: l’esperienza del tribunale aveva sconvolto la mia vita e l’esistenza della mia famiglia. Non ne volevo più sapere.
Nel 201o, in occasione del trentesimo della strage, Einaudi mi propose la ristampa. In famiglia ci abbiamo pensato a lungo prima di accettare. Ci è andata bene.
E’ cambiata l’aria ? Non credo. Infatti Funerale dopo Ustica non si ristamperà per motivi legali, quindi, l’aria è sempre la stessa.
Con la ristampa di Strage è andata bene. Forse per la distrazione di qualcuno che ancora non si è accorto della sua nuova vita editoriale.
Con Francesco Guccini hai firmato una serie di romanzi, tra il 1997 e ilo 2007, a quattro mani, ambientati sull’Appennino tra Toscana e Emilia, protagonista
il maresciallo dei carabinieri Santovito. Come mai lo avete abbandonato ?
Dopo aver raccontato come eravamo, o meglio, come era la nostra montagna, abbiamo avuto voglia di raccontare come siamo oggi. Santovito era troppo avanti
con gli anni, nel 1939 ne aveva 28, per raccontare il 2010.
Sempre con Guccini avete creato un nuovo personaggio, un ispettore della Forestale, Marco Gherardini, detto il Poiana. Le trame sono ambientate tra gli Appen-
nini tra Emilia e Toscana. Si è parlato di “giallo ecologico”, di “noir appenninico “, sei d’accordo ?
Chissà perché, c’è sempre voglia di applicare etichette. Diciamo che Francesco e io scriviamo storie ambientate in Appennino, ma anche, in parte, in città. Infatti,
non mancano puntate a Bologna e Pistoia.
Sei uno scrittore squisitamente individualista, come ti sei trovato in questa forma di scrittura a quattro mani ?
Benissimo. Con Francesco siamo sulla stessa lunghezza d’onda. Almeno per la scrittura. Per la musica di divide un oceano.Forse due.
Torni in libreria con ” L’ironia della scimmia” protagonista Sarti Antonio il “questurino” più longevo del giallo italiano. Perché sempre questo
personaggio ?
Perché abbandonare un personaggio che piace al lettore ? E che è simpatico anche a me?
Perché questo titolo ?
Non sembra anche a te che stiamo vivendo veramente una Malastagione ?
Sarti Antonio, una carriera che risale agli anni ’70, come è cambiato il personaggio ?
Credo che leggendo i primi romanzi (che fortunatamente per il sottoscritto, sono ancora disponibili grazie alle ristampe di Stile Libero Einaudi) e poi
passando a L’ironia della scimmia, ultimo, il lettore stesso si renda conto che il personaggio è cambiato . Lungo il corso della vita, noi tutti cambiamo
carattere, disponibilità verso il prossimo, modo di vedere il mondo….Insomma, diventiamo grandi. Lo è diventato anche Sarti Antonio, sergente ?
Come sempre nei tuoi romanzi Bologna ha un ruolo da comprimario. Come per Sarti Antonio anche per la città come riesci sempre a dirci qualcosa di
nuovo ?
Cerco di guardare oltre l’apparenza. Bologna, come qualsiasi città, non è ciò che mostra, è ciò che nasconde.
Dalla tua esperienza di scrittore di lungo corso come pensi si riesca a far sì che un personaggio di ” carta ” diventi ” reale “, vedi Maigret, Sherlock Holmes,
lo stesso Sarti ?
Sarti ti ringrazia per averlo messo in compagnia dei miti del giallo. E anch’io ringrazio.
Se sapessi come far diventare reali i personaggi di carta , lo farei anche con altri personaggi che ho tentato di costruire. Come Poli Ugo, l’archivista.
Nel tuo romanzo dedichi un ampio spazio a l’Aquila, a cui del resto il libro è dedicato. Sbaglio nel dire che l’hai anche considerata un simbolo dell’abbon-
dono e dell’incuria tipici di questa Italia ?
Ipotesi esatta. Noi siamo le nostre città.
Hai definito l’Aquila “la Pompei degli anni duemila”, perché ?
Perché, quando i turisti visiteranno i resti di quella che è stata una delle più belle città d’Italia, i ciceroni la racconteranno come raccontano oggi
Pompei.
Perché l’Aquila non verrà mai più ricostruita e di lei rimarranno solo i ruderi, come a Pompei.
Perché noi abbandoniamo i disperati al loro destino.
Perché, perché perché…..
Anche in questo libro non rinunci ad apparire….
Chi o dice ? Quel tale che racconta, commenta, fa lo spiritoso e tutto il resto, non sono io. Non voglio responsabilità.
Questo tuo ultimo romanzo è ambientato ai nostri giorni, i primi Sarti Antonio sono di circa quarant’anni fa. Come ti sei regolato per il linguaggio,
per la maniera di vivere, di pensare ? Hai dovuto cambiare qualcosa ?
Cerco di adeguarmi ai tempi del personaggio e della storia. Non so se ci riesco. Lo deciderà il lettore. Della critica, che è esperta in stili letterari, in storia
della letteratura, in analisi comparative e via andare, ti confesserò che non mi interessa.
Anni 80′-90′ grande successo per le fiction televisive, per quelle tratte dai tuoi libri, protagonisti sul piccolo schermo uno splendido Gianni Cavina e un
altrettanto grande Tino Schirinzi nei panni di Rosas. Poi abbastanza improvvisamente sono spariti, parlo ovviamente degli sceneggiati, perché ?
Be’ vorrei saperlo anch’io. Ci ho pensato a lungo e sono arrivato al alcune ipotesi.
La prima: le produzioni che hanno un successo che va al di là della semplice visione poi via ( nel senso che lasciano allo spettatore qualcosa), vanno bandite
dal piccolo schermo: troppo pericolose. Potrebbero far nascere strane idee.
La seconda : alla fine della visione, lo spettatore deve essere rassicurato e deve andare a letto convinto di essere protetto da una società e da un sistema sicuro.
Con le storie di Sarti Antonio, i finali lasciano sempre l’ amaro in bocca. O meglio, in testa.
La terza: la fiction televisiva deve essere distrazione.
La quarta, la quinta, la sesta…Mettici tutto quello che vuoi.
Sta di fatto che Sarti Antonio era e rimane un campione di una televisione che non è solo distrazione. E anche di successo fra il pubblico e forse questi sono
difetti, agli occhi dei responsabili del nostro immaginario privato e pubblico.
Sarti Antonio è un personaggio fondamentalmente triste, pieno di problemi, anche se la sua forza è l’onestà, l’incorruttibilità, però ripeto è un “triste”. Come
mai secondo te ha avuto un così grande successo ?
Credo che il lettore ( e a suo tempo il telespettatore) veda nel personaggio un uomo qualunque, uno come lui, con i suoi stessi problemi e guai quotidiani da
risolvere. O come ha scritto Oreste Del Buono, Sarti Antonio è un eroe solo per il fatto di riuscire a sopravvivere nel mondo che ci sta intorno. E se lo è Sarti,
eroi lo siamo un po’tutti , noi che resistiamo.
Un’ ultima curiosità, scrivi facendoti accompagnare dalla musica o lo fai in assoluto silenzio ?
Vorrei farlo in silenzio (pretendere l’assoluto silenzio oggi, è un po’ azzardato). Vorrei, ma c’è il telefono, c’è il campanello, c’è il televisore, c’è il computer che
ogni tanto dà i numeri e si mette a cantare e a mostrarmi delle immagini mai da me richieste….Insomma, un casino.
GIUSEPPE PREVITI