” CRUEL ” DI SALVO SOTTILE – MONDADORI
7 Aprile 2015” SOLO IL TEMPO DI MORIRE” DI PAOLO ROVERSI- MARSILIO
14 Aprile 2015” Ho passato trentadue anni in polizia, più otto mesi e quindici giorni vissuti intensamente solo ed esclusivamente nel settore investigativo”. Chi parla è Michele Giut-
tari trent’anni e passa al servizio dello Stato, poi tutto passa ma lui nel frattempo si scopre scrittore e ci lascia una confessione…
Un’appassionata e appassionante autobiografia con un racconto accurato e senza sconti di un trentennio di storia non solo personale ma anche quella del nostro Paese.
Ma è anche la storia di un lavoro duro, difficile, a volte oscuro e poco riconosciuto, a volte pieno di gioia e di grandi soddisfazioni. La storia di Giuttari inizia nel 1978,
in Sardegna,quando era la stagione dei sequestri, poi in Calabria dove avrà a che fare con la ‘ndrangheta, con i rapimenti e l’omertà tipica di quei luoghi. Poi il periodo
napoletano, a cui seguirà quello toscano, caratterizzato dal sangue del “Mostro di Firenze”. Una storia tremenda quella dei ” Compagni di merende”, ma tutte queste storie sono oscure e difficilmente comprensibili. Giuttari vi ha lavorato sopra cercando di trovare un nesso comune
scontrandosi a volte con ricostruzioni di comodo, a volte supportate dal punto di vista assai discutibile di chi rappresentava lo Stato. Ad esempio lui si è sempre opposto alla ” pista sarda” come a quella del killer solitario, studiando, leggendo e rileggendo pratiche, interrogatori, verbali, esami, sino a chiamare in causa personaggi intoccabili, che la verità ” ufficiale ” ha deciso di proteggere sino in fondo. Giuttari ha continuato sulla sua strada, non gli è mai venuta meno la fiducia nelle istituzioni e ha deciso di raccontare tutto quanto è avvenuto e gli è avvenuto in questi anni.Era un doveroso servizio alla verità che lui, servitore dello Stato, si è sentito di compiere.
In Confesso che ho indagato si parte dalle indagini sulla ‘ndrangheta e sulla camorra e sui sequestri di persona, per passare alle stragi di mafia, ma poi si vede che
il vero perno del libro è la vicenda del Mostro di Firenze di cui Giuttari comincerà ad occuparsi quando arriva a Firenze. Con questa pubblica confessione il poliziotto
ma anche scrittore Michele Giuttari ci racconta l’ultimo capitolo di una storia che secondo lui non è mai stata scritta sino in fondo.
Giuttari torna ai tempi in cui era capo della squadra mobile di Firenze. Furono infatti condotte da lui le indagini che portarono ad incriminare Mario Vanni e Giancarlo
Lotti che poi furono pesantemente condannati. I famigerati “compagni di merende” di quel Pietro Pacciani che era sotto processo per l’uccisione di otto coppie tra il
1968 e il 198o nelle campagne fiorentine. Ma secondo Giuttari dietro tutto questo c’era il vero ” Mostro”, colui che dirigeva tutta l’operazione, e che del resto lo stesso
Pacciani aveva evocato per discolparsi. Dietro il trio incriminato dovevano esistere dei personaggi ” intoccabili” che sono riusciti, attraverso i contatti giusti,a bloccare
le indagini. Il nostro autore pensa di sapere chi sono e in questa sorta di diario della sua vita li indica, li descrive, in base a tutti gli indizi raccolti nel tempo.
Ovviamente Michele Giuttari ricostruisce la sua vita, ci parla anzitutto delle prime esperienze di giovane poliziotto partendo da Orgosolo per poi passare in Calabria e
Campania. Questo libro fa vedere il lavoro di un poliziotto, tra sequestri, rapimenti, minacce , omertà con notti passate all’addiaccio per un appostamento o su un
tavolo a studiare un caso, quando poi alle fine ” gli occhi bruciano e la schiena fa male “.
” Confesso che ho indagato” è scritto come un romanzo, e del resto Giuttari, una volta lasciata la polizia si è dedicato a tempo pieno alla scrittura, pubblicando vari
gialli di successo creando un commissario fittizio. In questo caso, visto che si è ripromesso di dire la verità sulle indagini sul Mostro, racconta in prima persona la
sua esperienza di uomo che rappresenta la legge che caduto in disgrazia è addirittura portato sul banco degli imputati. Una conclusione che non ha mai digerito e non
per nulla il sottotitolo è ” autobiografia di un poliziotto scomodo “.
Trent’anni e passa di indagini, omicidi seriali, criminalità organizzata, colpi di scena, questa è stata la vita di Michele Giuttari, svolta con encomiabile spirito di servi-
zio. Una attività fatta di pedinamenti, di summit con e tra le procure, di intercettazioni telefoniche, ma anche di studi, di raffronti, di confronti con un impiego costan-
te della propria intelligenza e esperienza e con la dote di un intuito notevole che gli permetteva di sviscerare e confrontare il tutto. Oggi Michele Giuttari è uno scrit-
tore di polizieschi affermato ma la sua vita per anni è stata quella del poliziotto da Orgosolo a Reggio Calabria e Cosenza, da Napoli a Firenze, città dove poi si è svolta
la maggior parte della sua attività in polizia.
E’ stata di Giuttari, giunto da poco a Firenze, l’intuizione che Pacciani non poteva aver fatto tutto da solo il che gli permetterà di arrivare a Mario Vanni e Giancarlo
Lotti. Ma è anche suo il convincimento dell’esistenza di un gruppo di mandanti 0 di burattinai che si celavano dietro le abbiette imprese del Mostro, ma su questa
strada sarà fermato.
Resta il ritratto di Michele Giuttari poliziotto e detective, alle prese con le varie pratiche, con i tanti casi, con il lavoro di prevenzione, in una vita dove “non c’è giorno,
non c’è notte …”.
Una storia che è ” vera”, i personaggi, i fatti, gli eventi raccontati sono tutti ” veri”, all’autore è toccato un vero e proprio lavoro ricostruttivo che parte dalla cronaca
nera e che con scrittura asciutta ma intensa e incalzante ci racconta quella che è stata la vita di uno dei migliori poliziotti del nostro Paese.Assiste verso la fine degli
anni ’70 al passaggio dalla delinquenza agro-pastorale a quella ben più ricca e ancora più spietata dei trafficanti di droga, di denaro sporco, di altri proventi illeciti.
E cìè ancjhe il tempo per ricordare un fedele servitore dello Stato, Nicola Calipari, scomparso poi in una tragica missione all’estero. C’è poi l’arrivo in una Firenze in-
trisa del sangue dei caduti di via dei Georgofili, e poi il Mostro, una vicenda che non lo convincerà mai e che comunque tanto inciderà sulla sua vita. Un particolare
curioso, lui non ha mai incontrato e interrogato Pietro Pacciani, lo ha visto solo da morto, non ha mai avuto modo di sapere da lui cosa era veramente successo.
Il diario di un uomo che ha dedicatoi la sua vita alla giustizia, qui non ci sono come nei romanzi del suo alter-ego letterario Michele Ferrara personaggi di fantasia,
qui sono tutti reali, in carne ed ossa, hanno fatto parte della sua vita e si sente l’amore e la passione per il lavoro che ha contraddistinto la sua esistenza. Si parte
dei primi anni di carriera, dalla conoscenza doi tanti colleghi che hanno condiviso con lui questa vita sempre tesa alla ricerca della verità.Una carriera la sua varia e
costellata di successi che ppoi con l’indagine si scontrerà con i poteri forti. Si entra nella vita di tutti i giorni di un poliziotto con le sue paure, le sue fragilità, ma anche
con una grande forza morale che lo aiuterà nei momenti più difficili. E purtroppo questa vicenda personalen ci fa capire in modo drammatico come molto spesso vanno
le cose nel nostro Paese. Un Paese pieno di misteri che non vengono svelati perché si vuole proteggere qualcuno e per farlo non ci si ferma dinanzi a niente. Ne viene
fuori il ritratto di un uomo che ha passato momenti terribili, e per gli altri, ma anche per se stesso, pur se lui non ha mai cessato di credere nella giustizia. Giuttari non
fa sconti a nessuno, né a quei magistrati né a quei giornalisti i cui comportamenti gli sono apparsi contrari alla ricerca della verità.
Un libro dove Giuttari manifesta orgoglio, amore, rabbia, delusione, il titolo stesso è a doppio taglio, da una parte l’orgoglio di chi ha sempre lavorato con il senso del
dovere, dall’altra la comfessione di una colpa, quella di avere….indagato. L’amara conclusione, al di là della vicenda e della visione personale, è che in questa Italia
purtroppo spesso si vuole insabbiare, deviare, nascondere e anche che troppo spesso i potenti hanno buon gioco di fronte a chi lavora onestamente.
GIUSEPPE PREVITI