“FURIOSO ORLANDO” da LUDOVICO ARIOSTO (Ballata in ariostesche rime per un cavaliere errante)- Regia di MARCO BALIANI
27 Novembre 2012VERSO IL 3°FESTIVAL DEL GIALLO DI PISTOIA:GOLOSI CRIMINALI IL RAPPORTO TRA GIALLO E CIBO
26 Dicembre 2012Cast: Giuliana Lojodice Pino Micol Luciano Vorgilio Alessio di Clemente Manuela Muni Erika D’Ambrosio Vittorio Ciorcalo Marta Nutin Franco Mirabella Paola Sambo Marco Trebian Maria Angela Robustelli Fabio Angeloni
Dramma tragico, allucinante, ricco di motivi forti, aspri, che rientra nel pensiero classico pirandelliano, e che ci ripropone quello studio sulla “verità” che è uno dei motivi determinanti
della drammaturgia del grande autore siciliano.
Ma che cosa è la “verità” ? Esiste una definizione di “verità” ? Vi è qualcosa che oggettivamente può ritenersi tale ?
Ma ricordiamo brevemente i principi basilari del dramma di Pirandello: una pettegola curiosità propria di piccoli cerchi sociali, un disperato contrasto fra genero e suocera, il dilemma su
chi dei due sia il pazzo fanno da corona e da introduzione all’opera. Ma il vero cardine della stessa è proprio nell’affermazione della relatività del termine “verità”. Né ci si può limitare
a considerare questa commedia come un ulteriore aspetto del contrasto fra finzione e realtà, ché troppo semplicistica apparirebbe la spiegazione. Ci sembra piuttosto che l’autore vi abbia
infuso la propria filosofia, il proprio credo che lo porta ad escludere l’esistenza di una verità sacrosanta, assoluta, dogmatica, senza possibilità di dimostrazioni contrarie.
Pirandello così introduce in Così è (se vi pare) una sorta di commentatore, di maestro di cerimonia, il sig.Laudisi che illustra ironicamente i fatti, li viviseziona alla luce del proprio pensiero: analizzati i fatti, ascoltate le parti, di per sé misteriose, si prende gioco dei “salottieri” che vogliono a tutti i costi che uno abbia ragione e che uno abbia torto, e cercano la prova irrefutabile, cioè un documento scritto, come se da un pezzo di carta si potesse avere la risposta necessaria per districare questo mistero.
E Laudisi/Pirandello- forte della sua teoria sulla relatività della verità- si diverte a dar ragione agli uni e agli altri, e d’altro canto proprio sulle parole finali della signora Ponza: “ Io sono
colei che mi si crede ” si materializza il concetto di verità pirandelliano. Da questa concezione Pirandello è poi passato ad altre opere da I sei Personaggi all’ Enrico IV , da Ciascuno a
suo modo a Come tu mi vuoi.
Così è (se vi pare) è un dramma che senz’altro scuote, a tal proposito vorremmo ricordare due interessanti critiche, certo datate ma scaglionate nel tempo, e quindi rivelatrici di
nuove prospettive sull’opera di Luigi Pirandello.
Disse nel lontano 1924 Georges Duhamel: “Se si dovesse incidere un motto sullo stessa di questo poeta, sarebbero molti di certo a proporre le due parole che tornano sempre sulla bocca delle sue creature: Finzione, Realtà. Giusto, ma dimmi tu, spettatore solitario che te ne torni a casa, turbato sino in fondo all’anima, la gran parola che si sale dalle labbra, non è la stessa
dell’antichità? Non è: Pietà? “.
Gabriel Marcel nel 1951 così si espresse: ” Alla fine della commedia s’apre tuttavia una nuova prospettiva, anche se indistinta: umanamente parlando la verità non finirà di coincidere con la
carità? con un immolazione di sé talmente radicale da portare l’uomo ad accettare di confondersi con l’uno o con l’altro, a seconda dei bisogni del prossimo “.
Pietà, carità quindi per questo mondo votato alla vanità di una illusoria verità che appaghi il senso comune delle masse.
Vorremmo tentare un accostamento di quest’opera a certi temi oggi di moda. In essa vi è una continua suspense e forse non è irriverente configurare Pirandello come progenitore di una
certa letteratura moderna di gran successo, quale il noir. Semplicemente, invece dell’assassino, si cerca la verità. Problema del resto vecchio di secoli, comune sotto tutte le latitudini e
appartenente anche a discipline artistiche diverse. Se indaghiamo nel campo del cinema un film come il giapponese Rashomon, ove la verità in bocca a vari personaggi appare sempre
più relativa, non ha forse legami assai stretti con il teatro di Pirandello?
Il dubbio che può venire è se una commedia scritta nel 1917 ha ancora oggi ragione di essere rappresentata. In essa noi abbiamo da una parte il Coro, parenti e amici del consigliere Agazzi, dall’altra il misterioso trio, scampato al terremoto, il signor Ponza, la signora Frola e la signora Ponza, figlia della Frola. La questione è e diventerà affare di stato che il signor Frola tiene la moglie in casa segregata e la madre di lei non si oppone. I sei, a cui va aggiunto quel fine ragionatore che è Lamberto Laudisi, non accettano questa situazione e il loro rapporto con genero
e suocera diventa di tipo inquisitorio, sospetti, dubbi, avvertimenti verso il malcapitato Frola, ma nel contempo i pettegolezzi si amplificano e Pirandello si diverte a sbeffeggiare questi
provincialotti a caccia di emozioni e incurante dei sentimenti degli altri.
Si staglia quindi una differenza profonda tra i due gruppi, uno composto da figure che alla lunga nel loro isterismo e nella loro ottusità finiscono per apparire delle macchiette, dall’altra i Tre che ci commuovono costretti a convivere come sono con il loro mistero e con il legame che appare sempre più torbido. Nessuna pietà invece per l’insana curiosità dei sei, in loro non
c’è voglia di verità, ma piuttosto di essere tranquillizzati, senza andare al nocciolo del problema. Del resto cosa tipica dei nostri giorni dove l’immobilismo fa meno paura delle novit.
Una commedia quindi più che mai attuale e piena di interrogativi.
E pur se questo lavoro è meno distaccato dalla realtà di altri testi pirandelliani, qui si parte da un dato di fatto, il terremoto, e le sue conseguenze, però quel parlare fitto fitto dei personaggi, quel dialogo a volte aspro, a volte dolente, a volte ironico, a volte fatuo e pettegolo sfugge al fatto di cronaca che vi ha dato origine per conservare una vitalità sempre erompente che non può non assurgere a livelli di vera arte.
Michele Placido non è nuovo a Pirandello, lui vuole entrare in questo mondo facendo risaltare i mille doppi pirandelliani, la duplicità dei tanti personaggi e per questo ricorre a una enorme scena allegorica, creata da Carmelo Giammello, una grande cornice che tutto sovrasta con lo specchio caduto in tanti pezzi, si da duplicare appunto le immagini dei personaggi che animano
la scena. Qualche aggiunta e qualche eliminazione, ma nel complesso lo spettacolo procede senza particolari sussulti, tanto la sua forza è in quella sorta di figure-fantasma che sono i
tre protagonisti, anche se va detto che la compagnia appare ben assortita e il nutrito Coro assolve bene al suo compito.
Ma splendono naturalmente i tre principali animatori del dramma, con i loro assolo di gran classe. Una super dolente ma anche pronta a tirare fuori le unghie signora Frola di una grandiosa Giuliana Lojodice , un Pino Micol possente, eretto, quasi ingabbiato in un personaggio credibile quanto solo può credere in se stesso e il bravo Micol tratteggia a meraviglia un sofferto Ponza. Ineffabile Laudisi, ora filosofeggiante, ora caustico, ora accorato rispetto al becero coro salottiero nel voler dare una misura al gruppo Ponza il bravissimo Luciano Virgilio.
Ma oltre che bravi sul piano individuale, e lo si sapeva, sanno funzionare a meraviglia come Terzetto, e questo corrisponde allo spirito del testo che è molto corale, penso in questo abbia
merito pure il regista, essendo Placido lui stesso ottimo attore.
GIUSEPPE PREVITI