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Per la giornata della memoria compare nelle sale cinematografiche italiane il coraggioso film di Margarethe Von Trotta, Hannah Arendt, la grande filosofa
tedesca che seguì nel 1961 a Gerusalemme il processo a carico di Adolf Eichmann con una serie di corrispondenze per il New Yorker e un libro che le
provocarono molte critiche e inimicizie.
Il film è stato salutato con un grandissimo successo ovunque ma in Italia esce in maniera quasi clandestina, peccato perché la Von Trotta costruisce un film
bellissimo basandolo sulla figura della filosofa e ripetendo del resto quel procedimento che aveva già sperimentato con gli Anni di piombo.
L’idea di girare un film su una pensatrice come la Arendt era suggestiva ma certo impegnativa, perché se era stimolante rievocare la società intellettuale
dell’epoca c’era da stare attenti a non essere noiosi o pedanti né a banalizzare l’aspetto quotidiano di queste grandi menti. Il compito era invece quello
di creare quell’atmosfera e quella genesi che si sarebbero sviluppate intorno a un libro che avrebbe scatenato un autentico tornado.
Nel 1961 una delle riviste cult della società newyorkese chiese a Hannak Arendt, una intellettuale ebrea fuggita in America dalla Francia dopo un breve internamento , e
divenuta in seguito una delle menti più eccelse e seguite del mondo intellettuale newyorchese, di seguire a Gerusalemme il processo contro Adolf Eichmann.
La Arendt accettò ma dal dibattito, dalle testimonianze, dall’impressione visiva trasse il convincimento che questo presunto genio del male in realtà fosse un individuo
mediocre, un ometto insignificante, un burocrate al servizio delle SS, che si era rifugiato nella propria passività, lui obbediva e basta. Lavorando su questo concetto
ne seguirono una serie di articoli choccanti dove si evidenziava la ” banalità del male”.
Bisogna però anzitutto ricordare la vita che Hanna conduceva a New York, una vita agiata, con molti amici con cui non mancavano serrati dibattiti intellettuali. Importan-
te figura del suo universo, il secondo marito, Heinrich Buchler, un non ebreo, che riesce subito a intuire le trappole che può nascondere questo processo, già segnato
nelle premesse e nelle conclusioni, un processo-spettacolo che doveva colpire il reo, per dire “giustizia è fatta” e che nel contempo doveva anche legittimare lo Stato
d’Israele.
Quando la Arendt tornò a New York tenne lungamente in gestazione il libro, anche perché volle esprimere un concetto che certamente non poteva che apparire
rivoluzionario, cioè il male non è solo prodotto di menti perverse, certo il burocrate Eichmann con il suo agire impersonale, di persona ligia agli ordini, può apparire
ancora più pericoloso di quello che è stato l’Olocausto. Ma la filosofa non si limita a questo, punta il dito contro la passività o contro una certa mal offerta collabo-
razione ai nazisti dei leader delle comunità ebraiche.
Sul concetto che la malvagità non è necessariamente frutto di menti perverse, e quindi anche il male ha una radice assai più banale di quel che non si pensi, Margarethe
Van Trotta, sempre pronta a cogliere gli spunti della contemporaneità specie se legati a personaggi femminili, compie quindi un nuovo percorso all’interno degli
orrori del nazismo, dando quindi spazio alla tesi della Arendt.
Per la nostra autrice il male non è una cosa assoluta, può essere combattuto, ma certamente abbassando le soglie d’attenzione diventa ancora più pericoloso e non è
facile individuarlo. Però la regista ha l’abilità di non limitare l’assunto che svolge a una querelle storico-politica-filosofica ma di inserire discorsi e pensieri nella vita
quotidiana dei personaggi con i loro pensieri, i loro amori, i loro caratteri. E d’altra parte il film evidenzia la dolcezza della donna, il suo bellissimo rapporto con un
marito altrettanto dolce e amoroso, le amicizie, il suo continuo uso delle sigarette, insomma Hannah è una persona viva, una bella persona, a questo punto può
anche comprendersi l’evoluzione del suo spirito libero e aperto verso soluzioni che non vogliono essere denigratorie, ma semplicemente sono la testimonianza del suo
stato d’animo verso certi comportamenti, compresa la cooperazione di certi capi ebrei con gli occupanti. Pochi la capiranno, sarà minacciata e boicottata e questa fase
per lei assai crudele e a questo faranno da contraltare il pudore con cui lei ricorda la sua gioventù, ma anche qui alla fine lei affermerà la sua indipendenza di pensiero e
di giudizio. Una donna coerente in cui non vi è mai stato asservimento all’ideologia.
Al successo del film contribuisce un eccellente gruppo di attori, su tutti svetta Barbara Bukowa, una imperdibile Hannah.
GIUSEPPE PREVITI