“HANNO AMMAZZATO LA MARININ”- DI NADIA MORBELLI- GIUNTI EDITORE
21 Marzo 2013” UNA ROSA NERA ” DI SIMONE BENELLI- NUOVE ESPERIENZE
2 Aprile 2013Vladimir Pozner accettò di scrivere per una collana che proponeva biografie di grandi avventurieri e lui che era un comunista non solo accettò ma scelse addirittrura . Nun barone,
Roman Fiodorovic Ungern-Sternberg . Non sarà una scelta facile, non basterà consultare una smisurata mole di documenti, di von Ungern-Sternberg gli appariranno varie facce,
spesso le piste a cui è approdato gli appariranno false, anche perché se pur troverà dei testimoni non sempre si riveleranno attendibili.
Ma approfondendo la sua conoscenza del barone Pozner comincerà a entrare nel personaggio, certamente assai ambiguo ma anche molto seducente, con risvolti inquietanti e spesso
anche di segno opposto. Era un individuo che amava la via solitaria, di poche parole, molto irascibile, violento, sadico, anche imprevedibile, antisemita, superstizioso, a suo modo
idealista, e con un chiodo fisso, il considerarsi il discendente, l’erede di Gengis Kahn. E come tale si riteneva investito di una missione, quella di riconquistare l’Occidente
partendo dalla Mongolia. A completare il quadro una accentuata tendenza al misticismo.
Un personaggio di tutto rilievo, certamente interessante, complesso, sui cui il grande talento di Pozner si manifesta a meraviglia seguendolo nel corso delle sue sanguinare
avventure che lo portano dal golfo di Finlandia al deserto del Gobi, in una saga avventurosa che fonde la ricostruzione storica con la grande tradizione del romanzo di
avventure.
Su questo barone che si credeva Gengis Kahn aveva già detto qualcosa Hugo Pratt negli anni Settanta. Per i seguaci di Corto Maltese l’aristocratico Ungern-Sternberg era una
vecchia conoscenza. Con i suoi baffi alla mongola, magrissimo, dallo sguardo spiritato, il barone sanguinario, crudele quanto idealista, per molti versi un “pazzo” era apparso
Corto sconta detta arcana. Pratt ci porta nel 1920 quando Corto Maltese e il suo amico Rasputin ricercano un treno blindato contenente il tesoro degli zar e che sembra sia
finito in mano all’Armata Bianca che combatte contro i bolscevichi. Sono in tanti a dare la caccia all’oro, ma non il barone von Sternberg, che appare un uomo tutt’altro che
avido perso com’è dietro il suo sogno di riscattare l’umanità. Hugo Pratt ne fa un personaggio certo feroce duro ma con una sua certa nobiltà nell’agire. I testi di Pratt seguono
dl circa 35 anni la biografia di Pozner che risale al 1937 (anche se in Italia compare solo ora).
Pozner era nato a Parigi nel 19o5, discendeva da ebrei russi, giornalista, scrittore, tra i primi narratori che sapevano trarre da documenti e testimonianze la capacità di scrivere
dei grandi romanzi dove avventura e storia si fondevano dando identità e valore alle figure di cui si interessavano. E nel 1935 aveva ottenuto un memorabile successo pubblicando
Tolstoj è morto, occupandosi degli ultimi giorni di vita del celebre artista, una cronaca memorabile con tutta la Russia in sospeso per le sorti del suo grande figlio.
Pozner non sa molto di questa figura di cui si deve occupare, però vivendo nella Parigi degli anni Trenta ha la fortuna di poter trovare tanti testimoni della guerra civile che
ha sconvolto la Russia, gente ridotta male che per un pasto caldo o un bicchiere di vodka rivelavano pezzi di storia in cui von-Sternberg sarebbe stato protagonista. Incontrerà
un suo ex colonnello che ora fa il tassista a due decrepiti aristocratici che conobbero il nobile quando era un bambino, e poi un singolare monaco ( ?) buddista che spaccia
per figlio segreto dell’aristocratico un adolescente con cui vive. Insomma Pozner ci racconta la sua immersione in questo mondo sordido che lotta per sopravvivere. Nel
contempo frequenta archivi e biblioteche, consulta documenti su documenti. Dopo tante di queste pagine ecco che comincia a delinearsi il personaggio del barone e delle sue
avventure.
Era nato nel 1886 da un’antichissima famiglia aristocratica baltica e ben presto si era distinto sui campi di battaglia. Coraggiosissimo per natura ma anche con segni di evidente
squilibrio. Era ferocemente antisemita, idem con il comunismo, dopo la rivoluzione d’ottobre si unì alle forze zariste che combattevano nell’estremo oriente, qui si rivelò
allergico a una qualsiasi disciplina militare. Pozner ci parla in particolare di due anni, tra il 1919 e il 1921, quando la fama dell’uomo raggiunge il suo apice per poi precipitare in
poco tempo. Su lui aleggiò un’aria di leggenda, che poi finì per oscurare ogni rapporto con la realtà. In lui predominarono due elementi, la crudeltà e il misticismo. La crudeltà
la riservò ai suoi prigionieri, specie se ebrei, e i supplizi che infliggeva loro gli resero una fama sinistra dal Tibet alla Mongolia. Ma nello stesso tempo coltivò un sogno, restaurare
la monarchia, ed era un sogno di portata nettamente superiore alle meschinità e alle miopie della politica del suo tempo. Era imbevuto di dottrine buddiste e praticava vita di
asceta il che però comportava in lui una follia sanguinaria e purificatrice. I giapponesi pensarono di adoperarlo mettendolo alla testa di uno stato-fantoccio, ma lui era uno
spirito folle senz’altro ma anche assai libero, certamente non era uomo che si faceva corrompere o usare. Sempre pronto alla battaglia, contrario e alla pietà e ai compromessi.
Riconquistò Urga la capitale della Mongolia, restaurando l’antica tradizione dei Lama. Lui si credette addirittura la reincarnazione di Gengis Kahn. Naturalmente dava noia a
troppi, cercò rifugio nel Tibet, ma i suoi stessi ufficiali lo consegnarono all’Armata Rossa. Fu processato, si dichiarò contro il potere operaio, secondo lui solo i nobili che hanno
per la loro condizione i servi potevano comandare. Certamente in lui si possono trovare germi di quel fascismo che ben presto si manifesterà, ma certamente lui a differenza dei
suoi tristi epigoni futuri, fu uomo di tragica grandezza e anche di nobili istinti pur se oscurati da una natura sanguinaria. Inevitabilmente fu fucilato!.
GIUSEPPE PREVITI