“MANUALE ANTIRAPINA” DI SILVIA CALZOLARI E DANIELE VERATTI-SASSOSCRITTO EDITORE
23 Dicembre 2010“IL MIO CADAVERE” di FRANCESCO MASTRIANI riscritto da DIVIER NELLI-GIALLI RUSCONI
17 Gennaio 2011Confesso di essermi avvicinato con molta curiosità alla lettura de “Il cappotto del babbo” scritto, praticamente
su commissione,da Laura Vignali, un’autrice che conosciamo bene, ormai abbastanza affermata per i suoi libri e racconti gialli, particolarmente apprezzata nella categoria dei “gialiisti comici”.Ma in questa particolare circostanza
il tema da affrontare era la storia di un uomo e della sua prigionia, quindi una storia vera, non un noir.
Franca e Silvana Nannini sono due sorelle, figlie di un ,marescialloi dei carabinieri, Giuseppe,ormai scomparso,
che negli anni ’40 fu fatto prigioniero dai tedeschi in Albania e poi avviato a un campo di concentramento a Brema
in Germania.In quel tempo, mentre la sua famiglia era sfollata presso i nonni nel reggiano, il maresciallo pativa
i momenti tragici delle prigionia e dei bombardamenti, ma soprattutto gli era insopportabile non sapere nulla dei
propri cari.Anche in Italia era difficile avere notizie degli internati e quindi si fecero ancora più trepide le ricerche e le attese dei rimpatriati.
Giuseppe Nannini sarà tra coloro che tornano, pressochè irriconoscibile,invecchiato, incanutito, quasi un’ombra che sparisce nel cappottone da carabiniere che indossa nonostante il caldo di quel settembre in cui torna a casa.
E la vita così ricomincerà per la famiglia Nannini.
Se questa è la premessa trasferiamoci pure ai giorni nostri sulla collina di Lucciano dove sorge tutt’ora la casa dei Nannini, l’aveva fatta costruire il babbo, figlio di contadini.
Ecco qundi delineati i protagonisti della nostra storia,riprodotti poi fedelmente nella struttura narrativa del testo.Ecco la scrittrice che in prima persona ci narra di quando viene chiamta dalle sorelle Nannini che le chiedono
di dare una versione “romanzata” alla storia del maresciallo loro padre, ricavata dagli appunti che lui stesso
aveva raccolto nei giorni di prigionia e surrogato dai ricordi e dalle impressioni delle due donne.E l’autrice
si deve quasi sdoppiare nella funzione e di chi scrive una storia e in quella di una persona che raccoiglie una testimonianza e le deve dare una forma “finita”, simile allo scultore che da un blocco di marmo grezzo deve
procedere a lavorarlo e modellarlo per offrirci un’immagine compiuta. La Vignali deve quindi entrare nella vita
di tante persone, ridare loro vita, farle parlare, entrare nei loro pensieri.E qui ci inserisce un altro personaggio che fa un pò leveci del “grillo parlante” o del “consigliori”. E’ Giuseppe, nella vita marito di Laura: sta sullo sfondo,
ogni tanto interviene, gli viene affidato il compito di “primo lettore”, suoi quindi i primi commenti, ma principalmente qui ha il ruolo della “voce della coscienza”della scrittrice, che richiama se stessa all’impegno di non scadere nel patetismo e nella retorica.
Le altre protagoniste della storia sono le sorelle Nannini. Noi le conosciamo chde sono già signore mature che
accolgono Laura, le fanno vedere la casa, rievocando emozioni ed episodi del passato. Le conosciamo di
più mentre si raccontano: Franca,la più grande, il babbo l’ha conosciuto, le ha insegnato a scrivere, e lei può scrivergli gli auguri per le varie ricorrenze, mentre lui è prigioniero. Silvia è più piccola, praticamente si troverà difronte uno sconosciuto, tanto denutrito che quasi le sembrerà un nonno…
Sarà durante questa visita che verrà mostrato a Laura il famoso “cappotto”del babbo, gelosamente custodito
come un taccuino zeppo di appunti che servirà da base per il racconto.
Ed infine lui, il personaggio principale, il maresciallo dei carabinieri Giuseppe Nannini: lo conosciamo nella
fase più triste e pericolosa della sua esistenza, prigioniero dei tedeschi e internato a Brema.Lo conosceremno
attraverso quelle brevi annotazioni, fedelmente riportate nel testo,che lui scrive su un taccuino miracolamente sfuggito ai suoi aguzzini.Alternando prima e terza persona ecco il quadro di uno squarcio di vita che si conclude con il ritorno a casa tra le sue donne.
Franca ha copiato fedelmente il diario del babbo, ma il compito principale che si è assunta la Vignali è stato quello di esprimere le sensazioni,le angosce, la rabbia. Il calarsi in panni altrui non era semplice, ma importante era anche dare attraverso questa testimonianza il quadro di un’epoca, ripercorrendene i
fatti, insomma entrare nella “storia”dalla porta principale attraverso chi l’ha vissuta in prima persona, in barba ai
tanti revision isti che vanno di moda di questi tempi.
Nel diario del Nannini è commovente leggere le impressioni, i ricordi, le nostalgie per quel mondo contadino in
cui era nato e vissuto per buona parte della sua vita,e forse è proprio la fede e il ricordo verso quel mondo semplice fatto di lavoro,di fatica, di piccole cose, come ad esempio il rispetto reciproco,la voglia di vivere, che
daranno a Giuseppe la forza per sopravvivere. Troppo grande è il suo attaccamento a quella visione di vita
che lui non può soccombere neppure per la guerra e questo gli dà lo stimolo a lottare per poter riabbracciare
i suoi e il mondo in cui vivono.
Sofferenze su sofferenze, i tristi Natali trascorsi nella baracca del campo, il freddo,la fame, i tanti compagni che non ce la fanno a resistere e periscono, con lui che ritrova lena e voglia di vivere ric ordando una filastrocca composta dal babbo contadino e scritta mentre era emigrato in Brasile in cerca di fortuna che non aveva trovato e così era tornato. E Giuseppe si chiede “Chissà se io farò altrettanto?”.
Poi le prime notizie da casa, la gioia di sapere che le sue donne erano tutte vive, e alla fine,settembre del’45, con il suo cappotto “lacero e sformato” ritorna a casa.
Qui finisce la storia di Giuseppe Nannini raccontata non in forma di diario, ma,come già sottolineato, a piani
sovrapposti, con le parole e i pensieri e i dubbi dell’autrice, le impressioni e i ricordi delle figlie, il lungo
monologo di Giuseppe.Un Giuseppe che via via acquisterà vita propria, asuurgendo al ruolo di personaggio,
oltre le sue vicessitudini, in un certto senso lui è destinato a diventare il testimone di una tragica odissea,
vissuta da tanti altri, ma il Nannini ha avuta la fortuna di rappresentarla con quelle frasi che è riuscito a fissare
nel suo taccuino.
Tutto sommato non è stato scritto un diario, o quanto meno si tende ad andare oltre la storia di quest’uomo,
di lui praticamente non sapremo più niente , ma in questo libro interessava raccontare una storia che permettesse di far rivivere una tragedia collettiva, pur se sulla scorta della memoria scritta da chi l’ha
fattp anche per difendersi dall’orrore che lo circondava.
Che la Vignali non abbia voluto scrivere un diario puro e semplice lo si vede anhe da un altro aspetto del suo testo, c ioè dalle pagine che riportano i suoi colloqui con le sorelle, dialogghi che spaziano sui loro sogni, le
delusioni e le realizzazioni. Ne esce un ritratto vivo con problematiche legate a molti temi, religiosi,sociali,
politici, due presenze vive, molto aggiornate. Alla scrittrice scappa detto “Mi sembra proprio che queste due sorelle, l,ungi dal richiamare alla mente le figure evengeliche di Marta e Maria, assomigliano piuttosto a
un Erasmo da Rotterdam o a un Don Milani”:
E si comprende anche l’attaccamento delle ormai mature signore al ricordo del padre,ormai una sorta di “Lare domestico”, una presenza forte, che non vuole essere dimenticata, perchè riportando alla luce i suoi ricordi,
si rende testimonianza e voce a quei tanti che non sono più tgornati.
All’inizio di queste note ho detto di essermi avvicinato con curiosità a questa opera,insolita nella produzione di
Laura Vignali:Lei conferma il suo talento di scrittrice eclettica, che sa affrontare i temi più diversi con uno stile sempre proprio e mai banale. No, non è scaduta nel patetismo, intercalando momenti del passato e del presente, fatti altrui e fatti personali.Una miscela sicuramente ben riuscita.
GIUSEPPE PREVITI