“LO SPETTRO” DI JO NESBO – EINAUDI
29 Novembre 2012“IO SONO IL LIBANESE” DI GIANCARLO DE CATALDO — EINAUDI
4 Dicembre 2012Maurizio Cucchi giornalista, poeta, scrittore di romanzi e anche per il teatro approda con L’indifferenza per l’assassino al noir con una storia che ha la particolarità di essere crudamente
reale.
Passeggiando per le stradine e le viuzze della Milano più antica il nostro autore scopre in un vicolo assai angusto, non per nulla era chiamato la “Stretta”, uno stanzino che è servito da
sinistro laboratorio, in un clima da horror, allo scellerato Antonio Boggia, che venne considerato il primo serial Killer nella storia d’Italia. Un’Italia appena unita che a tante cose buone
non potè non aggiungere anche notazioni negative.
La storia del Boggia, forse il sinistro fascino che ancora emana quella sorta di budello incastrato tra le strade, spingono suo malgrado il Cucchi a ricostruire questa figura. Il Boggia
era assai abile nel conquistare la fiducia delle sue vittime per poi ucciderle e appropriarsi dei loro beni.
Cucchi è un grande innamorato di Milano, l’ha cantata tante volte in versi o in prosa, è un po’ il suo destino di interessarsi della città e di conseguenza anche dei suoi personaggi, buoni o
famigerati che siano. Solo che stavolta si addentrerà non soltanto nei vicoli, nelle piazze, nella vita della stessa ma idealmente dovrà addentrarsi nei meandri di una mente umana, dentro la
mente di un criminale.
Nel dialetto milanese bauscia significa saliva, e nel parlato comune appunto “el Bauscia” era colui che sprizzava saliva mentre parlava. E un Bauscia era appunto un fabbro, Pepìn Meazza,con negozio al Carrobbio. E’ una delle vittime del serial Killer, che agiva in pieno centro storico, dove abitavano non solo i borghesi ma anche muratori e fabbri,
Boggia visse per lo più nel centro, siamo verso la metà dell’Ottocento, andrà sotto processo nel 1861, l’anno in cui l’Italia veniva unificata , per essere poi giustiziato l’anno seguente.
Cucchi compie un percorso affascinante nel seguire i passi del bandito, non manca di ricorrere alla fantasia, ma importante è la creazione di uno stile narrativo stimolante, arricchendo
anche la storia di un susseguirsi di indagini. Ma riesce anche a compiere un percorso culturale e assolutamente veritiero in quella Milano della seconda metà del diciannovesimo secolo.
Il racconto di una vita arricchito dalla volontà dell’autore di entrare in quel mondo, in quella mente e da tutto questo scaturisce l’immagine di una Milano che si prepara all’unità di Italia e poi la vive, difficile certo fare un raffronto con la Milano dei nostri giorni, e per grandezza( arrivava sino alla prima cerchia dei Navigli) e per numero di abitanti ( non superava i 25o mila
abitanti).
La particolarità di questo romanzo è che sembra procedere su due piani, da una parte l’efferata vita dell’assassino, dall’altra lo scorrere delle ricerche e dei pensieri dello stesso Cucchi.
Via via che si addentra nello studio del personaggio Cucchi sembra quasi provarne repulsione, non accetta il fare violento e senza freni inibitori del Boggia, ma poi finisce quasi per soggiacere al fascino sinistro del maniaco e della sua leggenda. A proposito di leggende lo stesso Cucchi rivela che passeggiando in piena estate per una stretto vicolo sentì come una improvvisa frescura, certo era una suggestione, ma gli venne in mente un’antica diceria. Si mormorava tra i vecchi milanesi che in quella stradina si notava talvolta la presenza di un
fantasma, che muoveva l’aria, la rendeva gelida, ed era proprio il fantasma dell’Antonio Boggia, che si aggirava ancora tra gli scenari delle proprie gesta.
Gesta che poi il nostro autore ricostruisce, Boggia aveva fatto il manovale, il portinaio, fu accusato di quattro omicidi, forse cinque, derubava le sue vittime e poi sperperava in bevute il
maltolto.
Una storia forte piena di cadaveri, di fatti e misfatti, una storia che prende, per primo evidentemente chi la scrive ai giorni nostri.
Il Boggia fu condannato a morte, e solo allora forse comprese che la parabola della sua vita era al limite, si accasciò sulla panca, mostrando finalmente un lato umano, quello dello sconfitto,
del punito , rivelando finalmente la natura di un povero e miserabile uomo. Il caso fece molto rumore e tra chi se ne interessò Maurizio Cucchi ricorda Cesare Lombroso, giovane studioso a inizio carriera, che naturalmente seguì il processo e per i suoi studi volle il cranio del pluriomicida considerandolo tipico da assassino. E Maurizio Cucchi vuole concludere la sua ricerca
sul Mostro di Milano andando a Torino al Museo di Antropologia criminale e vedrà che il ritratto del Boggia è indicato semplicemente come assassino mentre in uno studio sui più grandi delinquenti dell’epoca compare anche il portinaio di Milano. Un mostro tra i suoi simili, e l’autore può concludere il romanzo dicendo che la sua ricerca è compiuta con il mostro indicato
come esemplare del…club dei mostri.
GIUSEPPE PREVITI