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18 Maggio 2021Roma,gennaio 1869: Giambattista Bugatti, Mastro Titta, il famoso boia della Roma di Papa Pio IX, ormai anziano, detta le sue memorie allo scrittore Ernesto Mezzabotta.
Dieci anni prima era scomparso un neonato, figlio di un ufficiale francese di stanza a Roma, e si teme che possa ripetersi un caso “Mortara”. Un bambino nato ebreo e fatto
battezzare “forzatamente” dalla sua balia che poi lo aveva affidato alle guardie pontificie, per essere allevato nella fede cattolica.
Roma sta attraversando un periodo difficile, è sorta un’alleanza franco-piemontese contro l’Austria, si pensa a una manovra a danno dei cattolici mettendoli l’uni contro l’altri.
Ma improvvisamente si scoprono i cadaveri della ragazza e del bambino trucidati in una casupola in riva al Tevere, a cui seguiranno altri omicidi, e il caso si presenta ben più complicato. Mastro Titta, con due suoi amici,, Amilcare, ispettore di polizia, e anche innamorato della vittima, e Giuseppe Marocco d’Imola poeta e tornitore,,si occupano della
vicenda perché non vogliono accettare le risultanze delle indagini ufficiali che tendono ad addossare la colpa agli ebrei, in particolare al fidanzato della ragazza. Ma in primis va<
scoperto il movente del duplice omicidio. Gelosia nei confronti della ragazza ? Oppure l'”accusa del sangue”, cioè il fatto che gli ebrei farebbero uso del sangue dei bambini cristiani per i riti religiosi ed ecco il susseguente sacrificio del bambino ? Oppure l’azione di maleintenzionati ?
Il tutto avviene in una città incantevole per un verso e mefistofelica per un altro.
Ci troviamo nella >Roma papalina del 1869, quando l’ormai novantenne Giambattista Bugatti, meglio conosciuto come Mastro Titta,, racconta al giornalista scrittore Ernesto Mezzabotta, episodi della sua vita. Bugatti era il boia “ufficiale” della >Roma del Papa, avendo giustiziato nella sua vita oltre cinquecento condannati. Durante il tempo libero
faceva l’ombrellaio e così ora per passare il tempo e raggranellare qualche soldo racconta momenti della sua vita.
E così ne esce MASTRO TITTA E L’ACCUSA DEL SANGUE di NICOLA VERDE, dove si parte sa un caso che fece molto scalpore a Bologna nel 1858 quando Edgardo Mortara,un bambino ebreo, fu fatto battezzare all’insaputa dei genitori ebrei e poi consegnato ai gendarmi pontifici perché fosse allevato secondo la religione toscana.
Ora a una decina d’anni di distanza scompaiono un bambino ebreo e la sua bambinaia, Amelia, che in realtà ne era la madre, avendolo avuto da un colonnello francese presso la cui famiglia prestava servizio. La donna cerca di fuggire da Roma, ha bisogno di un rifugio e di denaro, bussa a varie porte,poi di lei e del bambino non si saprà più niente.
Del caso se ne occupano anche tre amici di varia estrazione,, investigatori per più ragioni. Mastro Titta anche perché ha il rimorso di aver notato una fugace apparizione della ragazza con il bambino al suo negozio, ma lui pur avendola vista preoccupata non ha fatto niente per trattenerla. Nè si è preoccupato molto l’ispettore di polizia Amilcare Laudadio, innamorato di lei perdutamente, ma incapace di preoccuparsi veramente per lei. Terzo componente del gruppo il poeta Marocco d’Imola, un vecchio sognatore che vagheggia l’unità d’Italia. E così in un susseguirsi di incontri, di fughe, di approcci pericolosi,, di accompagnatori ambigui, la storia si fa sempre più drammatica.
NICOLA VERDE si cimenta con il personaggio di Mastro Titta e così ispirandosi al caso vero del piccolo Mortara, inserito in un nuovo caso legato all2″Accusa del sangue” che veniva rivolta agli ebrei, che trucidavano ,mangiavano e bevevano il sangue dei bambini cristiani. Questo nella Roma di Pio IX, in un momento assai travagliato tra i tanti in-
trecci tra i potenti della corte vaticana e anche la nascita dell’alleanza tra la Francia e il Piemonte. Questo in una Roma sporca, puzzolente, anche tanto stancante. La storia ci
viene raccontata in terza persona, passando anche ricorrendo a personaggi reali che però sono alternati ad altri di pura invenzione.
Si realizza così uno spaccato dell’epoca, con un’eterna atmosfera puzzolente, le scoscese rive del Tevere, le osterie dove si mangia il baccalà e si beve del buon vino, gli angoli delle
strade dove si possono mangiare l’amatriciana e i maccheroni. >E ancora tante figure e figurine che balzano agli occhi, il ragazzino che vende i giornali, anche quelli “clandestini”.
Il nostro autore sfrutta i due generi che ha sempre praticato, il noir e il giallo storico.Qui ancora una volta è protagonista questo Giambattista Bugatti, il boia di Roma, più noto infatti come Mastro Titta, un uomo che cerca di superare lo sconcerto del mestiere che fa dedicandosi agli altri.
Settant’anni al servizio del papa,pur se poi nella vita di tutti i giorni faceva l’ombrellaio in una botteguccia poco fuori della città del Vaticano, dato che lui non si muoveva molto visto che il suo….ingombrante mestiere consigliava una certa prudenza. Sembra che nella sua vita avesse compiuto oltre cinquecento esecuzioni, ma di lui comunque non è che si sappia molto.
E’ nata così una storia dove certo si parla di fatti magari sporadici ma realmente verificatisi come i “battesimi forzati” e quel che ne conseguiva, come “l’accusa del sangue”.NICOLA VERDE ci racconta di un momento storico ricco di fatti e personaggi, magari ricorrendo anche a fatti e personaggi di fantasia, ma mai lontani dalla realtà di quei tempi.
D’altra parte anche la corte papale era scossa da molti fremiti,il papa è debole e malato,, forte è la rivalità tra segretario di stato e capo della polizia, mentre l’alleanza tra Francia
e Piemonte è vista come un affronto al Papato. E intanto Roma è infestata di morti, di marce e prevaricazioni contro gli ebrei. E naturalmente la scomparsa della giovane bambinaia e del piccolino hanno provocato scalpore, figuriamoci quando vengono ritrovati assassinati. E saranno proprio gli improvvisati investigatori dilettanti, Mastro Titta e
il poeta-tornitore Marocco con l’ausilio del poliziotto Laudadio a risolvere il mistero della morte della ragazza e del bambino.
La vicenda si svolge con sullo sfondo una Roma oscura e puzzolente, sporca e pericolosa. ma anche fantasticamente bella, e così NICOLA VERDE si addentra e ci ricorda questo periodo storico pieno di fermenti e di sorprese.
Ne è nato un romanzo che ricostruisce con molta brillantezza una Roma ottocentesca con le sue case,le sue osterie, i suoi quartieri,le sue sporcizie. Un omaggio se vogliamo alla storia, in parte vera in parte costruita su personaggi di fantasia, ma basata anche su misteri da svelare, su fatti assolutamente noir ma che non sono poi tanto lontani dalla realtà….
GIUSEPPE PREVITI