” FINO AL QUARTO PIANO” DI NICOLA RONCHI BERTONI EDITORE 9.05.2020
9 Giugno 2020” IL SIGILLO DELLE CENTO CHIAVI” di DANIELA TRESCONI- PANESI EDIZIONI- 14-06-2020
14 Giugno 2020Milano, estate 1981. La stagione del terrorismo sta raggiungendo il suo apice e sta diventando sempre più feroce. Tra i magistrati impegnati in prima linea il giovane Giacomo Colnaghi, non ancora quarantenne. Ha creato un piccolo gruppo di inquirenti con altri due magistrati, e si indaga su un gruppo eversivo che ha assassinato un politico demo-
cristiano. Colnaghi è un uomo fortemente cattolico, ma la sua fede è molto intima, sofferta ,piena di dubbi e di domande. E’ di origini assai umili, suo padre era un operaio ucciso dai fascisti, ma lui è l’esempio di chi se vale può arrivare ovunque in una società “aperta”. Ha moglie e due figli, purtroppo il lavoro lo assorbe completamente, e ben poco è il tempo che può dedicare loro. Spesso si rapporta con due amici carissimi e con loro si libera, può parlare liberamente di tutto, dal calcio alla politica alla vita quotidiana,con loro
può frequentare le piccole trattorie di periferia.
In lui è sempre molto vivo il ricordo del padre Ernesto che cadde per mano fascista dopo un’azione partigiana. Colnaghi pensava spesso a questo padre morto molto giovane, malvisto in famiglia per le sue idee di sinistra e perché non si era allineato al fascismo, e ha sempre pensato al genitore per cercare di capirlo, di interpretarlo, copiarlo, in con-
clusione amarlo, pur non avendolo praticamente conosciuto
Intanto sta conducendo una inchiesta difficile, con la caccia ai criminali, con gli appostamenti, gli interrogatori, le ricerche. Tutto questo lo porta a una vita solitaria,, la famiglia è al mare, ma lui non se la sente di mollare e poi vuole parlare con questi uomini, per lo più giovani,per capirne le ragioni.E lui cerca sempre, anche nel suo girovagare serale per la città, di entrare sempre nella testa degli altri, siano terroristi siano semplici conoscenti, anche i più umili, lui vuole capire, comprendere, interessarsi delle ragioni di tutti. Ma
tutto si svolge come tirato da un filo sotterraneo e malinconico, quasi fosse un presagio di morte…
Giorgio Fontana dopo Per legge superiore con Morte di un uomo felice torna a occuparsi della giustizia, la giustizia umana, quella amministrata e impartita dagli uomini, con tutte le possibilità, i limiti, le conseguenze del caso. Al centro del romanzo torna la figura del giovane giudice Giacomo Colnaghi, da Saronno, in forza al tribunale di Milano, dove
è impegnato in prima linea contro il fronte eversivo.
Intanto due notazioni importanti, questo libro nel 2014 ha vinto il premio Campiello, e poi è significativo che l’autore sia nato nel 1981,ovvero nello stesso anno in cui si svolge
la storia da lui immaginata. Questo infatti da una sensazione di forza e di consolazione perché è segno che il sacrificio di chi si è battuto in prima persona per la giustizia e la legalità non è stato vano.
Questo romanzo di Giulio Fontana è molto bello e commovente perché tocca le corde del lettore portando avanti la figura di un magistrato con la sua fede,la sua solitudine, la sua ansia di capire gli altri. E così si arriva a un libro sì doloroso ma anche dedicato alla sua memoria, alla sua ansia di andare oltre la cronaca e di penetrare nell’animo umano.
La storia è ambientata nell’anno 1981, quando le brigate rosse continuano a uccidere pur se il loro capo, Mario Moretti, verrà arrestato di li a poco. Nel frattempo vengono assolti gli imputati di Piazza Fontana, per non parlare del 1980 quando furono uccisi Guido Galli,Walter Tobagi, Renato Briano,Manfredo Mariani.
Questo è il contesto politico-terroristico in cui Fontana ambienta la storia di un magistrato,Giacomo Colnaghi, che sta indagando sull’assassinio di un chirurgo democristiano.
Ha colpito una banda formata da elementi di estrema sinistra ma al nostro autore non è interessato tanto scrivere un poliziesco quanto darci una storia ove si riflette sulla vita
quotidiana dei singoli individui, che però non può essere disgiunta da quel che avviene attorno a noi. E questo è il religiosissimo Giacomo Colnaghi che però va oltre questo, lui
vuole capire, non giustificare, badate bene! E si domanda come la giustizia si possa applicare in questo clima fatto di odio e di vendetta, d’altra parte lui non può accettare che
tutto si riduca a una questione di numeri, quando si troverà a interloquire con il giovane brigatista arrestato, colpevole dell’uccisione del chirurgo, ha quasi l’impressione che la
morte dell’uomo da colpire venga data per una ragione che sembra quasi meramente statistica. E del resto in questo gli viene utile l’esempio del padre che diventa partigiano sa-
pendo di rischiare la vita, ma non si tira indietro perché sente che è l’unica strada che ha davanti. E così questo romanzo come non è una indagine poliziesca non è neppure una
indagine giuridica, semmai si indaga sull’anima, sul proprio io, sempre tenendo presenti gli insegnamenti della propria vita e di chi ci circonda.
Colnaghi è un cattolico, però lo è dal punta di vista della riflessione e della confessione, non è interessato alle liturgie, alle grandi omelie, semmai sulla disposizione del suo animo ha inciso molto la storia nazionale. E la storia fa spesso riferimento alle scelte del padre, che aveva scelto i movimenti partigiani, nonostante le occhiatacce del suocero.
E intanto se il nostro magistrato si è praticamente autoisolato in Milano, ove si sfoga con lunghe passeggiate serali, mentre la famiglia è lontana, non vede quasi più nè moglie né
figli,difficile vedere un uomo cosi’ assorbito dalle sue funzioni. A casa sua madre lo aspetta ogni fine settimana come ai tempi della guerra aspettava suo padre. A Milano ha creato una piccola squadra investigativa con due colleghi, una “dura”comunista, e un nobiluomo di origini meridionali. Tutti i personaggi del romanzo sono fortemente carat-
terizzati, mai stereotipati, mai banali. Ma la vera vocazione di Giacomo è girare la città, anche per i quartieri più periferici, per poi risalire verso il centro, verso il palazzo di
giustizia, i Navigli. Gira molto a piedi, ma anche in bicicletta, più raramente prende la macchina o ricorre al taxi, e così viviamo una Milano multiforme, dai baretti ai chioschi alle trattorie, un mondo fatto di anziani, di operai, di gente comune , di piccoli uomini e di piccole cose, del resto quella che lui cerca è la genuinità, la spontaneità, e in questa sua ricerca non va tanto a ricercare il tempo perduto quanto quello vissuto, assorbendo il più possibile dalla vita degli altri, senza distinzioni di classe, di età,di provenienza. Si ritrova anche con un vecchio amico, un magistrato come lui, ed è a lui che espone i suoi dubbi su come deve essere applicata la giustizia,, su come cercare di capire cosa è la vendetta massima ispiratrice di questi giovani che uccidono, su come vada cercato di capire quali siano le loro ragioni. Solo così si potrà spezzare questo clima mortifero di
vendette e esecuzioni.
Del resto, lui bambino, c’era già passato suo padre, Ernesto, che era diventato un militante partigiano e aveva pagato questo con la vita. Un padre che la famiglia aveva “quasi” o
senza quasi, condannato per le sue scelte ma che invece lui crescendo ha sempre preso ad esempio, perché non si era preoccupato di se stesso ma del bene degli altri.
Colnaghi, come dice il titolo,era un uomo felice perché credeva in quello che faceva, aveva certo paura, eppure aveva rifiutato la scorta, ma non rinunciava a cercare di capire il
mondo che lo circondava, anche i suoi possibili aguzzini, e comunque pensava che non si doveva mai essere “cupi” e questo è il grande insegnamento di questa storia.
GIUSEPPE PREVITI