” LE SIAMESI ” DI ALESSANDRO BERSELLI- ELLIOT
9 Maggio 2017” LA FOLLIA DI ADOLFO ” di CARLO A.MARTIGLI- MONDADORI
16 Maggio 2017Sara Valentina di Palma laureata in storia contemporanea, ricercatrice, si occupa tra l’altro dell’infanzia nella Shoah, di storia e memoria nella Shoah , di
migrazioni ebraiche in Israele, oltre che della violenza sulle donne nei conflitti contemporanei. Ha al suo attivo varie pubblicazioni.
I bambini assassinati nS e dei lager. La Di Palma in Se questo è un bambino -infanzia e shoah- si interessa all’infanzia dei ragazzi ebrei in questo periodo, ai
loro ricordi, pur se per tanto tempo si sono sentiti un po’ trascurati, nessuno li ha sollecitati e ascoltati, forse partendo dal principio che fossero troppo piccoli
per ricordare.
Per sapere cosa è accaduto loro nel periodo della Shoah è stato necessario ripercorrere le tappe del loro cammino, o meglio,del loro calvario, in quel tristo
periodo e interessante è aver costatato come tutti, anche i più piccoli, abbiano cercato di testimoniare quanto stava accadendo, anche perché era giusto che
rimanesse una traccia di quel periodo. Molti di loro, di contro,hanno preferito non pensare a quel periodo, cancellando tutto quanto è loro capitato. Ma co-
munque anche a loro è stato chiesto quali ricordi avessero dopo tanti anni.
Va ricordato che per chi è nato nel periodo delle persecuzioni razziali la fine della guerra, la liberazione, non hanno segnato un automatico ritorno alla vita
normale anche perché in pratica era stato cancellato loro uno dei periodi più importanti della loro vita, l’infanzia.
In questo libro l’autrice vuole ricostruire la storia e la vita dei bambini ebrei nella Shoah, dando valore e conto dei loro ricordi, delle loro esperienze, del loro
modo di affrontare quei tragici momenti.
Se questo è un bambino di Valentina Di Palma è un libro -saggio che vuole ricostruire le vite e le esperienze dei bambini ebrei durante la Shoah. Ma tutto visto
in prospettiva dell’età dei giovani protagonisti. Non è stato semplice-dice l’autrice- questa ricostruzione perché si è dovuto infrangere il silenzio decennale
delle vittime stesse, anche per l’indifferenza degli stessi storici, forse anche non adatti a filtrare le emozioni, le paure, le sensazioni dei bambini.
In questo libro, con gli opportuni apporti di psicologhi e sociologhi, si è puntato sul recupero della memoria dei soggetti studiati. Se importante è quindi di-
fendere in generale i bambini ribadendo una volta di più il loro diritto alla vita, non meno importante è mantenere la memoria delle violenze sui singoli non-
ché su una larga fetta dell’umanità. Questo studio si rivolge in particolare all’infanzia ebraica sotto il nazismo, I bambini ebrei ebbero purtroppo un ruolo
determinante nel processo di sterminio praticato dai nazisti. Soffrirono un tasso di mortalità altissimo, ma ebbero reazioni e forme di sopravvivenza del tut-
to particolari. Una cosa è certa, la loro memoria della Shoah differisce notevolmente da quella degli adulti.
D’altra parte non è semplice discernere la verità dei racconti delle piccole vittime in una materia di per sé tanto coinvolgente, oltre tutto perché vissuta
sulla propria pelle. Si corre il rischio di farsi condizionare sin troppo dalla inevitabile emotività delle risposte.
L’autrice adopra allora il metodo di unire il racconto delle azioni e delle emozioni alla ricostruzione storica dei comportamenti e dei metodi seguiti dalla
politica del III Reich. Se la persecuzione era il principio base va anche considerato come fu messo in atto il sistema persecutorio.
Attraverso i racconti dei testimoni si possono quindi considerare l’effetto del nazismo sulle vite dei bambini e dei loro familiari, la vita nei nascondigli, le
deportazioni, la vita nei ghetti e poi nei campi di sterminio.
Allora ci si deve chiedere come individuare il ruolo dell’infanzia in tutto questo.,intanto viene esaminato il ruolo dei bambini ebrei, all’interno dell’atteg-
giamento del regime nazista verso l’infanzia in generale, per poi passare a esaminare il comportamento verso i piccoli ebrei in particolare. Va rilevato
l’assoluto silenzio degli storici sul trattamento riservato all’infanzia nella Shoah. A parte questo si pone poi il problema sul come affrontare il modo di
vivere dei bambini ebrei nella Shoah, e su come loro hanno reagito al fatto di dover raccontare questa parte della loro vita. E’ stato necessario-dice ancora
la Di Palma– calarsi nel mondo dei bambini e vedere le cose con i loro occhi.
Quindi la materia viene trattata partendo dai ricordi, dai racconti dei fatti, riproponendoli appunto come un ricordo infantile, che però poi suffragato se-
guendo il momento storico e i suoi eventi.
Anche la posizione dei bambini fu diversa, alcuni sopravvissuti alle tragicità dei campi, altri alla durezza di essere stati nascosti anche per lunghi periodi.
Il saggio raccoglie le testimonianze di una fetta che va dalla prima età ai 15 anni, con una ceconda da 15 a 18 anni, bambini e adolescenti.
Sono molte le situazioni,e quasi tutte dissimili l’una dall’altra. Certamente va tenuto conto alle che molte testimonianze sono state rese in un’età anche assai
diversa da quando sono avvenuti i fatti, specie per chi è un adolescente, che vive una vita più completa, ma anche più difficile con tutti gli interrogativi e
le curiosità tipiche di un’età in cui si arriva a fare delle scelte.
E per le ragazze di quell’età la situazione era ancora più difficile con perdita di identità anche in ragione delle umiliazioni subite.
I bambini sino a cinque anni hanno un ricordo basato su impressioni principalmente sensoriali, hanno subito molto il distacco dai genitori, essendo venuto
meno il riferimento più sicuro verso l’esterno. Per coloro che erano tra 5 e 15 anni c’è stato un adattamento migliore alle condizioni di vita, facendo leva ma-
gari anche sul profilo avventuroso di quell’esistenza. Di contro hanno però subito la perdita dell’infanzia, ritrovandosi adulti senza sapere bene come sia
accaduto e cosa hanno perso.
Il risultato importante di questo libro-saggio è di avere dato dignità e voce ai bambini sopravvissuti ai campi a ai lager,Per molto tempo nessuno si è interes-
sato a loro, considerando erroneamente che non potevano avere. Molti scelsero volontariamente il silenzio, quasi a voler rimuovere quanto di brutto era oc-
corso loro, ma in definitiva tutti avevano qualcosa da dire, da ricordare.Va anche aggiunto che per molti il calvario non è terminato con la fine della guerra,,
dovevano ricominciare a vivere, superare le umiliazioni, le paure, i torti subiti e in più avevano ” saltato” un periodo importante della loro vita.
Se questo è un bambino è una testimonianza di quanto accaduto negli anni ’40, è bene che ci siano opere come questa, tutto quanto è successo dall’ascesa
al potere dei nazisti sino alla liberazione è stato spesso trascurato, nascosto, travisato, minimizzato. Gli stessi ebrei, anche negli in cui la macchina dello
sterminio cominciò a funzionare a pieno regime, ebbero difficoltà a credere, accettarono con rassegnazione a fatalità, quasi increduli di quanto stava acca-
dendo loro.
Il ricordo va quindi perpetuato, le memorie non vanno disperse, fanno rivivere quel che è veramente accaduto, e più entrano nello specifico, come nel
caso di “Infanzia e Shoah”,, e più hanno effetto.
GIUSEPPE PREVITI