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27 Marzo 2015Cast:Bèrenice Bajo Annette Bening Maxim Emelyanon Abdul Khlim Mamutsiev Zukhra Duisvili
Erano in molti ad aspettare il nuovo film di Michel Hazanivicius dopo l’Oscar per The Artist. E magari tanti dopo aver visto The search si fregheranno le mani.
Ma perchè ?Il film è molto tradizionale ma non è certo banale, conferendo un andamento da melodraamma. La storia ri svolge nel 1969, durante la seconda guerra
russo cecena, ed un remake di Odissea tragica di Fred Zinemann che fece vedere la Germania distrutta dalla Guerra. Il film era ambientato nella Germania occu-
pata appena finita la guerra e narra di un militare americano, Montgomery Clift che raccoglie in strada un bambino cecoslovacco, sopravvissuto agli orrori della
guerra, senza più contatti con la famiglia di cui non si sa più niente e traumatizzato sino ad aver perso l’uso della parola. Il militare gli si affeziona, finirà per tenerlo
con sè chiedendone l’adozione. Va ricordato che nello stesso periodo c’era stato uno dei capolavori di Roberto Rossellini, Germania anno zero.
Sono tutti film che ricostruiscono il destino di tanti orfani smarriti tra le rovine di un mondo tragico e ostile. Ma sempre con un anelito di speranza.
Hazanavicius intercala la storia di un piccolo orfano ceceno diviso dalla sorella con quella di un giovane russo costretto ad arruolarsi nell’esercito e trasformato in
una macchina che uccide. Due storie che forse sin troppo prevedibilmente si intrecceranno ma non è certo un difetto. La potenza del film è sicuramente nel piccolo
Hadj(Abdul Khalim Mamtusiev) che vede i genitori uccisi dai russi e fugge con il fratellino piccolo piccolo non trovando più la sorella Raissa ( Zikhra Duisvili).In una
bolgia di gente che fugge, di soldati brutali nelle retrovie, figuriamoci in battaglia, il tutto reso con una fotografia volutamente sporca e polverosa (Guillaume Schif-
mann) la speranza del bambino è nell’incontro con Carole (Bèrènice Bejo)in missione per l’Unione Europea finisce per affezionarsi al bambino silenzioso e affamato, a
sua volta attaccatosi a lei, mentre non era andato d ‘accordo con direttrice del centro di accogkienza (Annette Bening).
Haranivicius punta molto sul melodramma per coinvolgere lo spettatore, passione, emozione, attesa , narrazione quasi in “diretta”, senza fronzoli e scadimenti. Il finale
si richiama al film di Zinnemann ma si interroga sulle vittime innocenti di tanti conflitti.
Del resto nel film non ci sono né vincitori né vinti, non lo sono certo le due funzionarie, attivissime sì ma con la paura sempre che i loro sforzi non valgano niente,
non lo sono le due vittime della storia Hadji il ragazzino rimasto senza famiglia e Kolia il giovane studente strappato alla sua vita e spedito nell’inferno ceceno dove
perderà ogni senso morale.Le due storie scorrono sempre parallele salvo poi alla fine ricongiungersi.
Michel Hazanavicius aveva vinto cinque Oscar con The Artist, un film muto, sicuramente irripetibile, e lo stesso regista lo sa e quindi presenta una pellicola comple-
tamente agli antipodi, un film-reportage per certi sensi che serve per denunciare le cattiverie del mondo. E’ un film in cui Hazanavicius ha creduto molto, sostenuto
da un buon cast che mischia attori noti a giovani attori che si rivelano bravissimi, in testa l’incantevole Abdul Khalim Mamutsiev.
Come personaggi in genere i russi e i ceceno sono i puù riusciti, mettono “corpo” nella loro interpretazione, le donne (la Bening e la Bejo)sembrano più distaccate
dalla vicenda, qualcuno ha detto apertamente che sono fuori luogo. Diciamo che il film si basa sul bambino e sul giovanotto. Hadij è di una naturalezza straordinaria,
al nostro regista riesce splendidamente di dare corpo ai personaggi….muti(anche se poi il ragazzino supererà lo choc), Kolia è un ragazzotto che verrà fatto maturare
a suon di sberle e di umiliazioni, sino a diventare a sua volta un carnefice incallito. Le due donne doverebbero rappresentare la parte “giusta” quella che rappresenta
chi sana e pacifica tutto, ma forse loro per prime non ci credono, e anche i personaggi restano più di maniera. E così resta impressa la storia del piccolo orfano che
cerca la sorella maggiore senza enfasi, senza parole, ma con quegli occhioni spesso pieni di lacrime e che dicono più di tante parole.
GIUSEPPE PREVITI