ARRIVA DAN BROWN A FIRENZE!
16 Maggio 2013CHIACCHIERANDO CON L’AUTORE : GRAZIANO BRASCHI
22 Maggio 2013Devo confessare che quando mi hanno proposto di curare una serie di incontri con autori di di gialli e noir all’interno delle carceri giudiziarie di Pistoia la cosa mi lasciò
un po’ sorpreso. Credi sempre che c’è uno stacco profondo tra chi è dentro e chi è fuori, pensi anche ” Ma a questi signori cosa mai gli può interessare ? ” Ritieni anche che
a gente che per una serie infinita di motivi è finita in prigione, ” ma perché mai proprio di gialli gli devi andare a parlare ? “.
Provvede a rassicurarmi la gentilissima responsabile degli incontri all’interno del penitenziario dicendomi che un argomento valeva l’altro, importante era di trovare
dei temi che stimolassero l’uditorio, un uditorio che ama i libri come tra l’altro dimostra l’interesse per una biblioteca in fase di allestimento.
Un’altra spinta me l’hanno data i miei amici autori, tutti indistintamente hanno plaudito e assicurato con vero entusiasmo la partecipazione al ciclo di incontri. E così da
gennaio a maggio ho accompagnato e introdotto a questi incontri Divier Nelli, Oscar Montani, Andrea Consorti, Laura Vignali e Patrick Fogli , e ancora li ringrazio per
aver partecipato.
Non avevo mai messo piede in carcere e quindi al primo incontro non nego di essermi presentato con una certa emozione, anche se ora che butto giù queste note, dopo
aver compiuto cinque visite l’emozione in se è passata, anche se resta sempre l’impressione di entrare in un altro mondo. Per entrare in un penitenziario occorre sotto-
stare a delle procedure, ho dovuto raccogliere i dati dei documenti di tutti i partecipanti al ciclo, fissare degli orari e delle date, ricevere l’autorizzazione.
Ma il momento chiave, che poi onestamente si è rinnovato a ogni occasione, è quando si apre la porta d’ingresso, e quando, una volta entrati, ti si richiude alle spalle e
hai la sensazione di aver varcato una linea di confine. Molto gentilmente l’agente addetto alla ricezione ti fa consegnare carta d’identità e cellulare che depositi in un arma-
dietto.
E’ quando si lascia alle spalle un cortile esterno dove c’è anche un bar che comprendi che stai compiendo qualcosa di diverso. Accompagnati dalla dottoressa responsabile
degli incontri culturali cominciamo ad attraversare cancelli e porte ferrate, per alcuni funziona la chiusura elettrica, in altri c’è sempre una guardia che viene ad aprire e
immediatamente chiude la porta alle tue spalle. Passi lungo corridoi, vedi le porte chiuse o le sbarre, dietro ci sono i reclusi. Altri li incroci attraversando i raggi, c’è chi sembra indaffarato, altri vagano, sono tutti molto educati, ti salutano sempre. Ma alla fine vedi e incontri esseri umani come te, da una parte le guardie, dall’altra gli “ospiti “. Ti balena il pensiero che bene o male sono costretti, pur nei rispettivi ruoli, a condividere gli stessi spazi, la stessa vita, gli stessi orari…. Si respira un’aria di chiuso, i muri sono bianchi per la maggior parte, c’è abbastanza luce nei piani più altri, mentre il camminamento in basso, pieno di celle, è abbastanza buio. Quel che colpisce maggiormente, mentre passiamo, è vedere quanto sono piccole le celle e quante persone vi sono stipate, ti chiedi come fanno a starci.
Finalmente arriviamo alla biblioteca. Non è grandissima, alcuni detenuti stanno provvedendo alla catalogazione, intorno a un tavolo troviamo radunate un gruppo di
persone, come già detto all’inizio per me questo rito si è ripetuto cinque volte, ma le sensazioni di fondo sono sempre rimaste le stesse.
Io e gli amici autori abbiamo sempre avuto uno zoccolo duro di sette, otto persone, sempre presenti, altri sono cambiati di mese in mese, va ricordato che Pistoia è car-
cere di transito. La più bella sorpresa l’abbiamo avuta all’ultimo incontro, erano presenti per l’addio alla nostra iniziativa oltre trenta detenuti.
Ma torniamo alla realtà delle nostre presentazioni, si comincia con far conoscere lo scrittore di turno e sj inizia a parlare di libri. L’atmosfera si sgela subito, diventa
rilassante e consuetudinaria, quella tipica di questi incontri, si poteva benissimo essere in libreria, in biblioteca, in uno spazio qualsiasi. A voler essere cinici, visto la
difficoltà di avere un pubblico congruo alle presentazioni, qui siamo sicuri che ti staranno a sentire…. Ma è una cattiveria, ti rendi subito conto sviluppando il dialogo,
scambiandoci delle impressioni, che questi uomini hanno voglia di parlare, di comunicare, di interrogare lo scrittore, e pensi con rammarico che alla fine noi ce ne
andremo e loro “devono” restare qui. Ma il bello di questa esperienza è di aver trovato interlocutori gentili, educati, interessati, disponibili.
Non ho chiesto loro perché fossero li, o quanto ci dovevano stare ancora , ad onor del vero non è che siano reticenti, parlano volentieri della loro situazione, però per noi è stato bello vederli parlare di di libri, di scrittura, qualcuno timidamente rivela il suo sogno nel cassetto da potenziale autore, vorrebbe scrivere, chiede consigli, ma in linea di massima
tutti sono sembrati interessati. Non so se la formula migliore sia stata quella di portare vari autori o se un interlocutore unico avrebbe consentito una maggiore empatia,
ma è stato anche utile presentare sdrittori dalle esperienze e realizzazioni differenti. Questo ha permesso se non altro di offrire un panorama variegato della letteratura
poiliziesca.
Un ringraziamento anche alla dottoressa che ci ha seguito in questi mesi, penso che per questi ragazzi siano necessari dei punti fermi a cui rivolgersi, con cui colloquiare
confrontarsi, presentare anche delle richieste. Ritengo che sia necessaria sempre manifestare una grande disponibilità verso queste persone, anche per rendere meno
pesante il loro soggiorno.
Io e i miei compagni d’avventura ci siamo trovati di fronte un gruppo abbastanza composito, giovani e meno giovani, italiani e stranieri, persone di mezz’età che franca-
mente stenti a individuare come “ospiti” del penitenziario. Quel che colpisce quando parli con queste persone è che non trovi in loro tanto un sentimento di rabbia quanto
una sorta di rassegnazione e in molti pure la consapevolezza di non essere lì per caso.
Oggi si parla molto di precari, ecco questi ospiti delle patrie galere sembrano degli eterni precari che aspettano…
La cosa bella di questi cinque incontri è che tutte le volte sono divenuti occasioni di dialoghi. Subito la tensione si è sciolta, non hanno mai voluto un “monologo” dell’autore,
loro hanno sempre partecipato come pubblico “attivo”, in questo hanno dato molti punti ai frequentatori delle presentazioni che si tengono usualmente nei luoghi depu-
tati.
I detenuti ripetono speso che lì dentro il tempo non passa mai, alcuni si lamentano che non hanno occasione di lavorare o di fare cose utili e sono costretti a dormicchiare
in cella. Possiamo sperare che questi appuntamenti siano serviti se non altro a rompere la monotonia di un tempo che non passa mai per chi è dentro, ma principalmente a
stimolarli a leggere, ad apprendere qualcosa, a coinfrontarsi. Uno mi ha detto “…mi sembra di essere tornato a scuola “, ebbene lo abbiamo preso per un complemento non
tanto perché ricordare la scuola ci fa sentire più giovani quanto perché la scuola rappresenta voglia di conoscere e di apprendere, e la nostra modesta opera di questi
mesi speriamo abbia contribuito a questo.
Ora che l’esperienza è finita, mentre sto recuperando in portineria quanto depositato e stiamo uscendo, sento rimbombare il cancello alle mie spalle, si sta chiudendo, e
penso che alla fine mi piacerebbe ripetere questa esperienza, interessare queste persone attraverso la lettura, farli partecipi delle imprese dei nostri eroi di carta,
spronarli a scrivere.
Il rimpianto maggiore è che per noi la giornata, una volta conclusi i nostri impegni, ci riporterà a casa, loro invece restano chiusi con davanti una serie di giornate vacue…..
GIUSEPPE PREVITI