IN RICORDO DI PHILIP SEYMOUR HOFFMANN
20 Febbraio 2014” I BASTARDI DI PIZZOFALCONE”- di MAURIZIO DE GIOVANNI-EINAUDI
28 Marzo 2014All’inizio del mese si è spento uno dei maggiori esponenti della Nouvelle vague Alain Resnais, regista francese che a giugno avrebbe compiuto 92 anni. Ma
l’età per lui non era mai stato un ostacolo, tanto che al recente Festival di Berlino era stato proiettato il suon diciannovesimo film, Aimer, boire et chanter, che
era stato premiato come la pellicola più “innovativa”. Del resto tutto il suo cinema era sempre stato innovativo e intelligente, molto creativo e raramente
Resnais aveva deluso i suoi fans.
Nato in Bretagna , in gioventù si era trasferito a Parigi, dove ben presto si era manifestato il suo amore per il cinema, specializzandosi in fotografia e montaggio.
Le sue prime opere riguardano una serie di cortometraggi sull’arte, dedicati a Van Gogh, Gauguin, Picasso, ma affronterà anche i temi del ricordo, della memoria,
della politica, per inciso lui apparteneva all’ala “sinistra”.
Uomo di grande cultura, di grandi passioni ma anche di grande intelligenza ha saputo poi trasportare tutti questi temi nei suoi film. Nel 1959 esce Hiroshima mon
Amour, un testo di Marguerite Duras dove si narra di un amore tra un giapponese e una francese che era stata legata in tempo di guerra a un tedesco, una mescolanza
di memorie, guerra, passioni. Su testi di Alain Robbe Grillet Resnais gira nel 1961 L’anno scorso a Marienbad, leone d’oro a Venezia, un film che a suo tempo
suscitò mole polemiche, tra fans entusiasti e implacabili detrattori, un film che è un viaggio all’interno della memoria pur se tenuto su un registro di assoluta….
incomunicabilità. Ancora un film “impegnato” nel 1968, je t’aime je t’aime-Anatamia di un suicicio (1968), poi il regista cambia decisamente passo come se
ritenesse che la stagione delle lotte e delle passioni avesse ormai concluso il suo ciclo.
Ecco allora rivolgersi a personaggi o fatti più reali, magari meno impegnati ma sempre interessanti. Nel 1974 rievoca un personaggio della finanza, assai discusso,
realmente esistito: Stavinsky il grande truffatore, seguito nel 1976 da Providence , protagonista un vecchio scrittore e le sue ossessioni, mentre con Mon oncle
d’Amerique (198o) si occuperà del cervello umano, infine nel 1983 con La vita è un romanzo dimostrerà che è impossibile essere felici.
Seguirà poi un lungo periodo dove rileggerà attraverso i suoi testi varie forme di arte. Una escursione nel mondo del teatro la farà con Melo (1984), tratto da una
pièce di Henri Bernstein dove si diverte a reinventare un testo teatrale, non importa se datato o attuale. Inizia anche a lavorare con un gruppo di attori che troveremo
soesso nei suoi film, dalla sua compagna Sabine Azéma, Pierre Arditi, André Dussolier, Lambert Wilson. Con un abile gioco delle parti Resnais ci porta a riflettere
sulla strada del cinema, evidenziandone possibilità e limiti narrativi. Con Voglio tornare a casa (1989) si rivolge al mondo dei fumetti. Nel 1993 dalla commedia di
Alan Ayckbourn gira Smoking/no smoking si gioca sulla casualità delle cose, se una donna si ferma a fumare in giardino ls storia assume toni diversi. Due attori in
scena (la Azèma e Arditi)a interpretare nove ruoli. Con Parole,parole,parole (1997) si occupa di mezzo secolo di canzoni popolari per parlare di sentimenti, mentre
nel 2006 torna ancora ad Ayckbourn, e gira Cuori, un ammonimento sulla difficoltà di ricercare la felicità.
Ancora il caso e i sentimenti la fanno da padrone in Gli amori folli (2009), forse il suo testamento spirituale è in Vous n’avez encore rien vu (2012), qui ritroviamo
tutte le sue passioni, con un gioco di rimandi e di sottintesi, un dire e un non dire, si intrecciano teatro, letteratura, cinema, dove riconferma la sua assoluta fiducia nel
ruolo del regista, vero deus-ex-machina della situazione, e ribadisce altresì la sua propensione per un cinema di parola.
E infine, anno 2013, Aimer, chanter et boire, film insolitamente leggero sui sogni di amore di tre donne, un film girato ancora con grande vitalità e intatta passione. E
non per nulla il premio per ” l’opera più innovativa” era andato a un uomo di 92 anni, che ancora sentiva il bisogno di tentare nuove vie d’espressione e che massima-
mente si divertiva a fare quello che faceva, segno di freschezza mentale ed espressive.
GIUSEPPE PRVITI